Notizie in Controluce

 Ultime Notizie

Ombra e Luce, di Maxim Tabory

Ombra e Luce, di Maxim Tabory
Gennaio 10
23:00 2011

Ombra-copertinMTUna testimonianza in versi da intendere, prima ancora che in simboli e codifiche già commentati dallo stesso autore, attraverso una memoria fervida e innocente, candore di una fede tutt’altro che usuale, seppure pregna di ricorrenti immagini per meglio assecondare diversi livelli ad altrettanti lettori. Fuoco, sole, luce e stelle che infiammano, scintillando avvampano dando corpo al visionario che a tratti, oltre l’uso simbolico, pervade di una coscienza astrale, svincolata “all’Altezza del celeste zenit”, quale estensione poetica dall’aldilà rivolta verso il di qua, per ricadere in “lampi/sulla terra spargendoci”. È un fuoco che riporta a una cristologia mitraica e non esclude nessi con culti pagani (“sacra fu la Fiamma./Nel tempio di Vesta”), mentre del mito della Fenice, inaspettatamente, viene riproposta una lettura del male personificato nel vento. Vivida di uno slancio paleocristiano, non lontana dall’islam dell’ “Unico e Misericordioso”, nonché arricchita di percezioni sincretiche con induismo, buddismo ed altre tradizioni, l’attenzione che l’autore pone per la scintilla divina e tutta la correlata simbologia del fuoco è elemento dominante e chiave di lettura dell’intera opera. La poesia viene sedimentata oltre le ceneri prodotte da un’esistenza che, varcando il letto del rispettivo fiume, si apre all’oltre idrografico espresso da un delta ideogrammatico, simbolo di una dimensione assunta superando il velo di maya. Il femminile, in ogni caso, dopo il fuoco è tra le più ricorrenti tematiche dell’autore. Anche qui il desiderio assume la portata della fiamma, “penetra, impetuoso, al midollo. Galoppa il mio infuocato sangue” dichiara il poeta, altrove esplicita “arde per te il fuoco struggente” e “nell’azzurro, con te, giacer vorrei di nuovo”, poiché anche la sensualità diviene proiezione che, con la memoria, si perpetua nello spirito e il suo divenire. “Ci fonderemo, in color rovente,/sul fragrante altare ardendo/nell’immenso firmamento” scriveva Attila Jozsef, illustre poeta magiaro, a proposito dell’attesa nel ricordo. Sensualità, quella di Maxim Tabory, più palesemente manifesta con la natura (“baciando/i fiori/sussurro l’amore sensuale”), fino a rendersi parte radiosa dell’istante intercorso che, con Fiore di fiamma, finisce col lambire un sufico sentire: “incantatemi nella magia di momenti/per bruciare nell’ebbrezza dell’Attimo/e, con occhi spalancati, nel cuore/possa io assorbire tutta la Luce”. Altrove si riassume con la fusione della forma nella sostanza: “i lineamenti dolci del tuo viso/rendono più leggera/l’aspra vita,/ch’io possa toccare/con le dita/l’erba, il fiore ed il sasso/per sentir tutto godendo”. Una donna che è anche espressione del divino, a partire dall’aspetto materno, veicolata nello spirito in un ricongiungimento affettivo mediato da una “Biancaneve in velata veste./Il suo volto è fresco,/etereo ed angelico”. Tra i più bei ritratti femminili, pacato e nondimeno penetrante dello sguardo luminoso e profondo di un anziano, c’è Estasi del risveglio, con “fulgidi granelli di sabbia/alla luce dell’alba /riflessi negli occhi/della giovane cameriera”, unitamente al preminente ricordo di Olga, quasi biblico nell’onnipresente fervore religioso, in quanto “d’allora”, dichiara il poeta, “sempre rifulgo poiché,/un tempo, la Notte m’ha baciato”. La “Libera Patria” è identità ed accomunamento a radici romantiche che, nella tradizione di Santo Stefano, riecheggiano il grande Sándor Petõfi prospettando l’estensione alla futura “divina patria celeste,/ove anche il giorno è sogno di Luce”. Viaggio cosmologico quello dell’autore, capace di discernere tanto dalla memoria quanto dalla circostante natura nel dato esistenziale per rendere un’ineluttabile resa dei conti che è incontro, più che confronto, tra il nulla e la redenzione. “Imparziale fine/da opprimenti anni segnata” è la visione della morte che ne scaturisce. Una morte legata ad antichi rituali agresti, costituiti sopra un inesorabile ciclo di rinascita nel sacrificio. La fede del poeta, in tutto questo, persegue la stessa ricerca costante ed attenta dello scienziato: “in questa breve vita, solo il prodigioso, Veggente occhio vede,/mentre lo sguardo umano è in ogni caso invano” ingannandoci su spazi e dimensioni, poiché “un milione di Entità in Noi vive”. Poeta che appare “adornato dalla vibrante,/invisibile corona di luce”, integro dei sogni d’infanzia in cui elfi e folletti evocavano spiritualità “in una preghiera d’animazione”. Ne emerge un “Dio piccino” ed implicitamente grande nel suo “alitare altre fiabe”. Una forte componente infantile, oscilla tra il naïf e il misterico, in un’indagine capace di rendere disarmante l’effetto che ne consegue. Maxim Tabory vive condividendo la sua esistenza con la guerra e le dure mansioni dell’operaio, porta con sé parte del peso della grande storia del Novecento, momenti non solo formativi ma anche forgianti una poetica autentica, credibile, quella scaturita nell’impatto esistenziale e che conosce tempi per evoluzioni interiori altrimenti svaniti nelle nuove generazioni, il cui dolore non viene più mediato, bensì anestetizzato, e la morte è dissacrata a gioco. Lapidare ed emblematico appare l’incipit de Il dolore composto dall’autore: “da quando ho perduto/mia madre/mio padre/mio fratello/il Dolore spesso/mi viene a trovare”. Semplice, diretto ed efficace da far rabbrividire, rendendo manifesta la portata della dimensione di perdita sull’orientamento affettivo generata da una simile condizione. Scorrono così le lunghe giornate di estenuanti marce verso il fronte (“come le mosche/sulla ferita aperta, striscia su di noi la bruma/e nel fango steso sulle impronte dei piedi trema”) e le successive serate trascorse in un “umido covile”, con un “ultimo fiammifero” “bruciato sulle unghie”. In fabbrica, anche se “soffoca la polvere bruciata e la vuota,/faticosa monotonia/che somiglia al notturno, stordito sguardo/di una veglia accanto al morto”, lo stesso lavoro ha ragione d’essere in un mistico convogliare energie proteso verso un comune fine, quello della nave nel cantiere, a sua volta allegoria per un ulteriore viaggio verso l’oltre in cui, comunque, ciascuno dovrà rendere conto del suo operato. Quello del poeta è un continuo lavoro, che non cessa neppure di notte nei pensieri. Il sacrificio che l’anima del poeta compie, durante la sua esistenza, è grande, l’autore ne è consapevole e si associa ai fratelli artisti suggellando: “la vostra fede – è la mia”. “L’arte del canto/soffia vita udita/nella morta partitura” e, anche se “il profumato spirito dei petali è già svanito”, il poeta si è affidato al verso consegnandolo agli uomini.

Articoli Simili

0 Commenti

Non ci sono commenti

Non ci sono commenti, vuoi farlo tu?

Scrivi un commento

Scrivi un commento

MONOLITE e “Frammenti di visioni”

Categorie

Calendario – Articoli pubblicati nel giorno…

Maggio 2024
L M M G V S D
 12345
6789101112
13141516171819
20212223242526
2728293031  

Presentazione del libro “Noi nel tempo”

Gocce di emozioni. Parole, musica e immagini

Edizioni Controluce

I libri delle “Edizioni Controluce”