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Una tomba muta… e a rovescio

Una tomba muta… e a rovescio
Novembre 17
15:28 2014

L'iscrizione funebre apposta alla tombaUn sarcofago bilingue, rarissimo, risvegliato due volte da sonni secolari. La prima volta fu tratto dalla terra a Velletri, in una contrada chiamata Colonnella, nel 1764. Si tratta del monumento sepolcrale dedicato a Sesto Vario Marcello, marito di Giulia Soemia Bassiana, nipote dell’imperatore Settimio Severo e cugina carnale dell’altro imperatore: Marco Aurelio Antonino detto Caracalla.

Dall’iscrizione del sarcofago risulta che Sesto Marcello è stato il padre dell’imperatore Eliogabalo, che regnò a Roma dal 218 al 222. La seconda volta quando è stato ritrovato, pochi mesi fa, il testo del commento alla lapide che un anonimo ha stilato subito dopo il ritrovamento, sempre nel 1764.
Non si sa perché questa tomba sia stata composta e situata in Velletri. O forse si può argomentare. Dopo che fu ucciso Caracalla, il prefetto del pretorio, Marco Opellio Macrino, ordinò che fosse cacciata da Roma tutta la famiglia imperiale dei Severi, e soprattutto le potentissime donne che provenivano dalla città di Emesa in Siria: Giulia Mesa e le sue figlie, Giulia Soemia poi madre dell’imperatore Eliogabalo, e Giulia Mamea, a sua volta madre di Alessandro Severo, immediato successore nell’impero. Queste donne ordirono una congiura ai danni di Macrino e presentarono Eliogabalo come figlio adulterino di Soemia e Caracalla suo zio carnale, molto amato dalle truppe. Furono fatte ai soldati donazioni assai sostanziose che, oltre alla propaganda, contribuirono a rendere Eliogabalo imperatore.
Dettaglio del basamentoNaturalmente Soemia si guadagnò la fama di adultera e di donna non solo di facili costumi, ma addirittura di svergognata prostituta. Non doveva però essere una debole donna perduta. Infatti riuscì a organizzare un Senato di donne, primo del genere nella storia di Roma. Il fatto inaudito destò l’ira di tutti i senatori che avevano avuto il predominio assoluto da secoli. Fu presentato come un abominio delle leggi e un’offesa blasfema alla figura della tradizione.

Dubbi irrisolti
Eliogabalo si occupò più della religione del Sole Invitto, di cui era sacerdote per diritto ereditario, che non degli affari di Stato. Volle che fosse portato a Roma il betilo che, si diceva, rappresentasse una specie di apofonia divina del sole, e cercò di rendere la sua religione assolutamente predominante in Roma. Il Senato romano non tollerò tutto questo e provocò una rivolta, della quale furono autori anche Giulia Mamea e suo figlio Alessandro sotto la regia dell’onnipotente Mesa.
Soemia e suo figlio furono uccisi e gettati prima in una fogna e poi nel Tevere. La loro memoria fu infamata e furono distrutte le loro statue e le iscrizioni che li riguardavano. Gli storici, succubi del nuovo imperatore Alessandro, a sua volta succube del Senato, contribuirono largamente a ridicolizzare le azioni dei due sconfitti sia dal punto di vista politico, sia da quello religioso. Tuttavia sembra strano che solo dopo quarant’anni l’imperatore Aureliano proclamasse universale la religione del Sole Invitto e che essa si espandesse per tutto l’impero e divenisse culto particolare di tutte le legioni che attribuivano a questa divinità le loro vittorie.
Fin qui la storia. Quando è stato ritrovato il commento all’iscrizione funebre di Sesto Vario Marcello, una serie di domande sono spontaneamente affiorate. Prima di tutto: perché Soemia aveva voluto far scolpire nel sarcofago il fatto che i suoi figli erano di Marcello, mentre aveva propalato dappertutto che almeno uno dei due era figlio adulterino di Caracalla? Perché il monumento funebre è stato interrato a Velletri e non a Roma? E in fretta e furia, come sembra, dato che è rovesciato, con il fondo in alto e con lo scavo, per contenere i resti, operato sotto la tomba? Perché il Cardinali afferma che fu donato al Papa nel 1773, dal magistrato veliterno, mentre la lettera di ringraziamento del Papa, presentata dallo stesso Cardinali, è datata 1772? E ancora, perché, pur essendo un reperto unico, o quasi, per essere bilingue, si trova nel Museo Pio Clementino senza una descrizione mentre tutti gli altri reperti ne hanno a iosa in italiano e in inglese? Inoltre, si tratta di una tomba vera e propria o di un cenotafio? E che parte ha avuto l’allora monsignor Stefano Borgia nel ritrovamento e nella donazione al Papa?
Tutte domande che, con ogni probabilità rimarranno senza risposta. Un piccolo volume, a ristrettissima divulgazione gratuita ne riporta la ricerca documentaria. È uno dei tanti casi che dimostrano la diaspora di moltissime opere archeologiche di enorme valore, tratte alla luce a Velletri, ma quasi mai conservate dove dovrebbero trovarsi di diritto.

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