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Volontari e attività volontarie in Italia

Gennaio 16
17:18 2017

Colti, felici e fiduciosi: ecco i volontari italiani, record del benessere
Dalla ricerca un’indicazione alla politica: per l’impegno civico serve più cultura

Colti, felici e fiduciosi nel prossimo. Questo il ‘volontario tipo’ che emerge dal volume di ricerca “Volontari e attività volontarie in Italia. Antecedenti, impatti, esplorazioni” (Bologna, Il Mulino, 2016), presentato oggi alla Camera dei Deputati.
Il volume, a cura di Riccardo Guidi, Ksenija Fonović e Tania Cappadozzi, approfondisce i caratteri e i significati dell’azione volontaria in Italia attraverso un lavoro collettivo e prospettive di diverse discipline. Presenta analisi e risultati inediti sulla base dei dati Istat 2013 rilevati applicando, per la prima volta in Italia, lo standard mondiale ILO (Organizzazione Internazionale del Lavoro) per la rilevazione del volontariato all’interno dell’Indagine Multiscopo Aspetti della Vita Quotidiana.
“Dai risultati deriva una precisa indicazione politica: per far crescere la solidarietà e l’impegno civico è di primaria importanza investire nell’educazione, nell’istruzione universitaria e nella cultura”, dichiarano i curatori del volume.
La ricerca attesta che non sono le risorse economiche la variabile determinante per accrescere le probabilità che una persona faccia volontariato, bensì le risorse socio-culturali: titolo di studio, abilità digitali, partecipazione culturale. Maggiori risorse socio-culturali si traducono in una maggiore propensione al fare volontariato. Per cui, più aumenta il titolo di studio e la fruizione di cultura, più aumenta la probabilità di fare volontariato.
“Questo libro ha contenuti originali: non esiste attualmente un altro contributo scientifico accessibile al grande pubblico che affronti lo stesso tema su una base statistica ufficiale”, rendono noto i curatori, che sottolineano come il volume esca “in un momento cruciale, mentre il Governo sta definendo i decreti attuativi della Riforma del Terzo Settore”.
In Italia sono 6,63 i milioni di persone (12,6% della popolazione) che si impegnano gratuitamente per gli altri o per il bene comune: 4,14 milioni (7,9%) lo fanno all’interno di organizzazioni e 3 milioni (5,8%) individualmente.
La quantità (del volontariato) aumenta la qualità (della vita). Dai risultati della ricerca emerge che le persone che fanno volontariato hanno una qualità della vita migliore rispetto al resto della popolazione italiana. In particolare, i punteggi più alti di soddisfazione vengono registrati dai volontari attivi da oltre 10 anni e da quanti si impegnano in più di una associazione.
Di particolare rilievo l’impatto positivo sul benessere degli anziani: il 50,4% dei volontari organizzati sopra i 65 anni si dichiara molto soddisfatto della propria vita.
Il tasso di fiducia interpersonale dei volontari (35,8%) svetta su quello di chi non fa volontariato (20,6%). I volontari mostrano più fiducia anche nelle istituzioni: l’indice medio di fiducia è stato calcolato al punteggio di 4,7 rispetto a 4,4 dei non volontari. Ma la relazione dell’impegno gratuito con la fiducia nelle istituzioni, viste come enti gerarchici che richiedono una adesione fideistica, è di gran lunga più debole rispetto a quella interpersonale.
Fare volontariato e partecipare ad associazioni ha anche un effetto di socializzazione alla partecipazione politica, soprattutto per le classi sociali più svantaggiate. Questa propensione si manifesta sia a livello ‘visibile’, ovvero nella partecipazione a cortei, comizi, riunioni e/o attività di un partito e nella tendenza a parlare di politica ogni giorno; sia a livello ‘latente’, ossia nella tendenza a informarsi della vita politica e nella disponibilità ad assistere a dibattiti politici.
Per quanto riguarda chi opera all’interno di organizzazioni, sono stati distinti sette profili di volontari. “I fedelissimi dell’assistenza” sono volontari (i più numerosi, un milione e 228 mila cittadini, pari al 29,6% del totale di volontari organizzati) che dedicano mezza giornata alla settimana a chi ha bisogno di aiuto nel campo dei servizi sociali, della protezione civile e della sanità. Seguono, per numerosità, “Le educatrici di ispirazione religiosa”, pari a un milione di persone (1.036 mila, 25%), impegnate nelle attività educative e nella catechesi; un impegno settimanale vissuto come stile di vita, in particolare per le donne del Sud. “I pionieri” sono generalmente laici ed istruiti; sperimentano modalità di impegno per l’ambiente e la collettività ai margini delle modalità organizzative tradizionali (il 13,6% dei volontari organizzati, 561 mila persone). “Gli investitori in cultura” mettono a disposizione competenze professionali specializzate e offrono supporto organizzativo per iniziative culturali e ricreative (il 10,3% dei volontari organizzati, 427 mila persone). “i volontari laici dello sport” sono allenatori e dirigenti di associazioni sportive dilettantistiche (l’8,9%dei volontari organizzati, 368 mila persone). “I donatori di sangue” sono per lo più maschi, occupati, genitori e in buona salute, fidelizzati all’associazione; si mettono a disposizione una volta al mese (l’8% dei volontari organizzati, 333 mila persone). Infine, “Gli stacanovisti della rappresentanza” sono dirigenti e organizzatori di associazioni che si occupano di politica, attività sindacale e tutela dei diritti (il 4,6% dei volontari organizzati, 190 mila persone); per un terzo è un impegno a tempo pieno.
Ma i volontari non sono solo quelli che si impegnano nelle associazioni. C’è chi lo fa individualmente. Grazie a questo volume di ricerca, per la prima volta in Italia conosciamo chi si impegna in modo diretto a beneficio di persone al di là della propria famiglia o per la collettività e ambiente. In particolare, sono stati individuati quattro ‘profili tipo’.
“Quelli che… danno una mano” (il gruppo più numeroso, pari al 34,2% dei volontari individuali, ovvero 852mila persone) sono quelle persone che offrono aiuto in casa o per pratiche burocratiche; rappresentano la ‘filiera corta’ dell’attivazione delle reti di prossimità. Seguono “quelle che… senza come si farebbe” (il 28,4% dei volontari individuali, 707 mila persone), che offrono assistenza qualificata a persone in difficoltà: è una relazione di aiuto duratura, un vero e proprio servizio complementare all’autogestione famigliare. L’attività di cura è svolta in prevalenza da donne: la maggior parte (69,9%) lo fa per almeno 10 ore al mese, una su cinque (20,5%) per più di 40 ore al mese.
Ci sono poi “quelli che… scelgono di fare da soli” (il 27,6% dei volontari individuali, 688mila persone), per lo più laureati, professionisti, impegnati con continuità (42,2% da oltre dieci anni, 17,5% da cinque a nove anni) per l’ambiente o cultura; rispetto ai volontari impegnati nelle organizzazioni, il tempo dedicato è minore (da due a quattro ore al mese). Infine, troviamo “quelli che… per donare vanno diritti all’ospedale” (il 9,9% dei volontari individuali, 246mila persone), ovvero i donatori di sangue che dedicano un’ora al mese al di fuori delle associazioni.
L’incentivo più forte a fare volontariato è l’identità religiosa. Condividere un’identità religiosa forte è il fattore che maggiormente determina la propensione all’impegno volontario in un’organizzazione. Lo stesso vale per i volontari individuali; un dato, questo, mai dimostrato prima di questo volume di ricerca.

In allegato: dichiarazione di Luigi Bobba; risposta di Renzo Razzano a Bobba; sintesi del volume; copertina del volume; indice del volume; scheda autori; programma dell’evento

Roma, 16 gennaio 2017

Claudia Farallo

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