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Gli intellettuali nei Castelli Romani. Una proposta a margine del libro di Sabino Cassese

Gli intellettuali nei Castelli Romani.  Una proposta a margine del libro di Sabino Cassese
Gennaio 07
23:29 2022

 

Sulla figura dell’intellettuale sono stati versati fiumi di inchiostro e oggi è in libreria il volume Gli intellettuali di Sabino Cassese pubblicato da “il Mulino”. C’era bisogno di un altro libro sull’argomento? La risposta è decisamente affermativa. Il giurista, figura di grande valore e prestigio che, tra l’altro, è stato giudice della Corte costituzionale e ministro della Repubblica, tratta l’argomento con completezza, chiarezza e originalità. Un libro di facile lettura che esplora la tematica nei suoi elementi essenziali: chi è l’intellettuale, come si forma e quali sono i suoi compiti, a chi si rivolge, come si rapporta con l’assetto democratico in particolare al tempo di internet, quali sono i suoi vizi.

Come si può definire questa figura? Per Cassese non è solo il letterato, l’uomo di cultura umanistica, il filosofo, lo scrittore. Può essere qualunque cittadino il quale possieda alcune caratteristiche di fondo: non asserisce, ma argomenta; non parteggia, ma spiega; non afferma, ma analizza dati di fatto e realtà empiriche: non urla, ma parla sottovoce.

L’autore riporta a tal proposito il pensiero di eminenti pensatori sull’argomento. Per Karl Mannheim “La caratteristica degli intellettuali è l’attitudine ad affrontare i problemi da diverse prospettive, di cui sono componenti importanti una certa dose di scetticismo, un pensiero prospettico, la capacità di raccogliere i fermenti della dinamica sociale, elevandosi al di sopra delle singole prospettive”. Eugenio Garin li vede come “coscienza critica”. Gramsci sostiene che “Il quid dell’intellettuale consiste nel mescolarsi attivamente alla vita pratica, come costruttore, organizzatore, persuasore permanente”.

Compito dell’intellettuale è dunque quello di fornire chiavi di lettura, ordini di priorità che fungano da filtro e dunque umile aiuto a pensare a favore di una cittadinanza che, oggi più di ieri, è invasa da informazioni, tali per cui potenzialmente ‘sa’ tante cose, ma non ne comprende il ‘senso’.

Cassese gli assegna una chiara funzione sociale, in particolare nel sistema democratico. Sostiene infatti che una democrazia in buono stato di salute prevede molti intellettuali, non solo pubblici, visibili o da palcoscenico, ma anche, e soprattutto, dietro le quinte. Redazioni di giornali, editori, insegnanti e molte altre figure professionali possono/debbono svolgere e svolgono concretamente quel tipo di funzione.

A chi si rivolgono gli intellettuali? L’autore sostiene che la loro attività è rivolta alla cerchia delle persone di cultura e alla classe dirigente, di cui loro stessi fanno parte, alla società più in generale, e allo Stato, nel senso delle istituzioni. Fatica piena di frustrazioni, come ben espresso da Luigi Einaudi nel suo libro Prediche inutili del 1955.

In particolare ai tempi di internet uno dei compiti degli intellettuali è quello di mettere ordine nel grande mare delle opinioni e delle asserzioni che possono trovarsi on-line e di aggiungere un certo grado di “riflessività” ai dialoghi immediati che si svolgono in rete.

Insomma, l’intellettuale elabora idee che forse, in qualche modo, prima o poi, hanno un qualche impatto sulla vita delle persone fino a cambiare i destini del mondo, come ricorda Benedetto Croce: “Anche le lotte politiche e sociali prendono le mosse da posizioni del pensiero” e “le stesse classi rivoluzionarie furono nella mente di qualche filosofo o poeta”.

Come far tesoro degli stimoli del libro di Cassese nella prospettiva dei Castelli Romani? L’intellettuale ha per definizione una dimensione nazionale e globale, o può assumere anche una specifica valenza a livello locale?

A livello istituzionale non vi sono strutture, progetti, idee, iniziative. L’Area metropolitana di Roma, che dovrebbe occuparsi della tematica dell’area vasta, è purtroppo una struttura eminentemente burocratico-gestionale, condizionata pesantemente dalla Capitale e disattenta alle esigenze e al futuro degli altri 120 Comuni.

Eppure Cassese afferma che: “Nell’età di internet si assiste a uno sviluppo spontaneo di società, scuole, club, circoli, istituti che svolgono attività di formazione e di dibattito”. Questo sviluppo spontaneo non si riscontra nei Castelli Romani. Nei vari Comuni risiede un elevato numero di architetti, urbanisti, storici dell’arte, pittori, scrittori, musicisti, economisti, statistici, biologi, fisici, scienziati delle varie discipline, giuristi, storici, insegnanti, giornalisti, operatori turistici, membri del clero, tecnici che si avvalgono delle varie branche del sapere e tanti altri che sviluppano le proprie attività culturali e professionali o in solitaria, o in piccoli gruppi che affrontano temi specifici, o in collegamento o all’interno di strutture della Capitale. Nella sola Albano operano oltre 1.000 laureati e diplomati che esercitano le professioni liberali. Il potenziale di capacità intellettuali nei Castelli Romani è dunque enorme. Vi sono varie realtà nel campo culturale, ad esempio la rivista Castelli Romani, il Sistema bibliotecario dei Castelli Romani, l’associazione Controluce, i musei di alcuni Comuni e molte altre, come pure singoli individui che, nei loro campi, raggiungono pregevoli risultati. Tuttavia questo prezioso capitale di conoscenze non fa sistema, non si mobilita per affrontare le sfide epocali nell’epoca della pandemia, della transizione ecologica, della digitalizzazione dell’area a sud di Roma. Serve, come ricordato da Cassese, non un uomo di scienza chiuso nel suo campo di studi o nel suo settore disciplinare, ma una figura di intellettuale cosmopolita capace di assumere un approccio eclettico e di sviluppare la propria capacità di interagire con altri “sapienti”. In fondo si tratta del vecchio modello dell’università, luogo dell’unità e dell’universalità del sapere.

Da qui una proposta. Dare vita a un cenacolo di discussione ed elaborazione avvalendosi dello strumento della rete. Non composto da “intellettuali organici” di Gramsciana memoria, ma membri engagé della società civile. Persone con i piedi fermamente piantati nei Castelli Romani e la testa rivolta al mondo in un torno di tempo in cui c’è disperato bisogno di idee per riprogettare il futuro e che, come diceva Croce, assumano su di sé il compito di gettare i germi di una nuova rivoluzione perché, per dirla con Albert Einstein, “Nulla è più pratico di una buona teoria”.

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