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“Il senso religioso: volume I° del Percorso”

Luglio 01
02:00 2008

Terminata la lettura del testo “il senso religioso” di Don Luigi Giussani, la prima impressione che se ne ricava è quella di un’apertura, della vastità di un orizzonte speculativo che spesso si fatica a dominare, e che non può certo essere racchiuso nei limiti di un articolo. Una tensione dialogale in esausta che si lascia sedurre dalle personalità e dalle tradizioni culturali più disparate: da Leopardi a Montale; dall’antica saggezza cinese, a filosofi quali Kant o Marx, oltre ogni steccato ideologico e confessionale. Da ciascuno di questi spunti accoglie quanto vi trova di buono e giusto, a ciascuno di questi autori fa dono di quella eccedenza di senso che è la proposta cristiana. Per lunghi anni professore, dapprima nella facoltà teologica di Venegono, poi nei licei milanesi ed infine nell’università cattolica di Milano, l’autore ha fondato comunione e liberazione, uno dei movimenti più dinamici della chiesa post conciliare.
L’itinerario che ci propone si snoda in tre tappe alle quali corrispondono altrettanti volumi: un percorso in cui si giunge ad un incontro personale con il Cristo non partendo da concezioni astratte ma facendo leva sulle proprie domande più profonde; ancora e più radicalmente sulla stessa ricerca della ragione umana, costitutivamente permeata dall’esperienza del domandare.
Si tratta di interrogativi ineludibili perché intimamente e fecondamente connessi con il significato che ciascuno di noi fornisce al proprio esistere, al proprio uscire da se per incontrare gli altri ed il totalmente altro. Tre tappe che in un certo senso potrebbero richiamare un tradizionale schema apologetico ( dimostrazione religiosa, dimostrazione cristiana, dimostrazione cattolica) ma che si distaccano da questa impostazione proprio perchè qui non è in causa solo la ragione dimostrativa, ma l’esperienza umana nel suo complesso. Il senso religioso il cui motto esplicativo potrebbe essere “ credo perchè è ragionevole “ è il primo volume di questo percorso; gli altri due sono “Alle origini della pretesa cristiana “ ( in cui ci si sofferma sulla rivelazione di Dio nella persona di Gesù Cristo) e “Perchè la chiesa” in cui si indaga come questa rivelazione, proprio mediante la Chiesa, possa essere avvertita come fatto presente in ogni epoca della storia. Il percorso, pur senza nulla togliere al rigore teologico dell’analisi, sgorga da una passione educativa autentica: dal desiderio di prendere l’umano, tutto l’umano, senza riduzionismi arbitrari, radicalmente sul serio. Presa sul serio la ragione è un occhio spalancato sulla realtà, che individua nessi, scruta problemi, fino ad aprirsi al cristianesimo inteso come la “possibilità imprevista”.
A certa ragione moderna che, irretita in atteggiamenti ideologici, vuole forzare il reale per farlo entrare in schemi creati a tavolino, cancellando riduzionisticamente tutto ciò che sembra opporvisi, Don Giussani contrappone un’immagine assai suggestiva
“E come se la ragione fosse un grande alpinista, che scalasse la più alta vetta del globo, e quando fosse in cima si accorgesse che quello è infinitesimale contrafforte di una parete di cui non si vede né il principio né la fine. Il vertice della conquista della ragione è la percezione di un esistente ignoto, irraggiungibile, cui tutto il movimento dell’uomo è destinato, perché anche ne dipende. E l’idea di mistero”.
Mistero non come teoria da elaborare, ma come esperienza in cui sorprendersi: il mistero di fronte all’essere delle cose, che evoca lo stupore; alla realtà che mi è data quale dono da accogliere nella sua pienezza. La ragione, dunque, scopre il mistero:ne intuisce l’esistenza, ma scopre anche la sua impossibilità di svelarlo con le sue sole forze. Proprio per questo è ragionevole pensare che sia il mistero stesso, rivelandosi, a farsi avanti prendendo gratuitamente l’iniziativa. Provocata dal mistero nella sua libertà, la ragione può accettarne la sfida, o chiudersi a riccio in atteggiamenti riduzionistici che l’autore passa in rassegna: dalla negazione teoretica della domanda ultima, che definisce questo problema come privo di senso; alla sostituzione volontaristica delle domande, che mira ad una parossistica affermazione di se stessi; fino alla negazione pratica delle domande, che proprio perchè, a differenza del primo atteggiamento descritto, ne avverte l’urgenza ed il carattere lancinante; si comporta come se esse non esistessero, nell’illusione di sfuggire a quel rovello. Non si tratta qui solo di posizioni teoriche: ciascuno di noi nella sua esperienza ha oscillato facendo propria ora l’una, ora l’altra di queste posizioni che qui possiamo solo accennare. Il testo, da questo punto di vista, è un’autentica miniera di spunti di riflessione, ed è sorretto da un problema realmente cruciale, forse il solo vero problema che interessi l’uomo perchè capace di coinvolgerlo intimamente e interamente, chiamandolo ad un rapporto personale con il reale, inteso come segno che rinvia al mistero.
Non è certo un caso se, citando un teologo francese, Don Giussani, descrive con queste parole la situazione del uomo contemporaneo
“Il grande nome di Teilhard de Chardin ci sovviene con questa affermazione tremenda: «Il pericolo maggiore che possa temere l’umanità oggi non è una catastrofe che venga dal di fuori, una catastrofe stellare, non è né la fame, né la peste; è invece quella malattia spirituale la più terribile perché il più direttamente umano tra i flagelli, che è la perdita del gusto di vivere»”.

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