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Il seme della speranza

Il seme della speranza
Ottobre 14
22:00 2011

Shengue-la-tartarugaMartedì 13 settembre, presso il Palazzo Barberini a Roma, si è svolta la presentazione del libro di Vittorio Accorsi Shengue la tartaruga. Il seme della Speranza, edito da Universitalia. Il successo dell’evento è stato possibile grazie al contributo della Fondazione “Kepha Onlus” e la partecipazione del suo presidente monsignor Patrizio Benvenuti. Numerosi sono stati gli ospiti che si sono alternati in un dibattito piacevole e ben organizzato. Suor Giselè, presidentessa dell’Associazione “Aprossa” e testimone diretta delle vicende africane, ha illustrato al pubblico i progetti umanitari e sociali di cui si sta personalmente occupando. Serena Accorsi e Patrizia Barsagni hanno dato la loro voce ad alcuni passaggi chiave del romanzo, mentre Martina Galeri, presentatrice e giovane giornalista, ha affrontato i punti focali del romanzo. Centrale fra tutti l’intervento di Vittorio Accorsi, già autore del premiato Africa nel Cuore, che con molta disponibilità ha risposto alle numerose domande del pubblico. La pubblicazione del romanzo è stata curata da Universitalia, giovane casa editrice che promulga la cultura attraverso pubblicazioni didattiche e universitarie, romanzi, poesie. Shengue la tartaruga è un racconto attuale, anello di congiunzione tra l’autore, l’Africa e la sua esperienza vissuta. Una sottile linea spirituale percorre l’intero romanzo, in cui lo scrittore descrive con minuzia le esigenze e le ingiustizie che i bambini di strada africani sono costretti a sopportare per poter crescere, resistere, ma soprattutto vivere in una “civiltà” che tenta di soffocarli. Il male diventa l’unica strada percorribile, per raggiungere una situazione diversa, dove il potersi domandare e il potersi rispondere diventano un peso, non necessario, poiché ci proiettano in un futuro incerto e doloroso mentre l’unica cosa certa è solo la sofferenza, la sofferenza di chi non spera più. Dalle vicende di Shengue, descritte con straordinaria efficacia, emerge un senso mistico, ornato di un odio che dipinge in nero ogni sorriso o speranza di chi non vuole perdersi e tenta di reagire. È proprio questo meccanismo a rendere il protagonista, povero e gobbo, un raggio di luce nell’oblio e nell’indifferenza, guida spirituale e al tempo stesso persona da disprezzare, a causa della sua dipendenza dalla droga e dall’attività del saccheggio. Dipendenze frutto di esigenze primarie: Shengue ruba per mangiare, si droga per non pensare. Lo spirito di Shengue si dona a noi. A noi che siamo sempre più soli all’interno di una modernità che paradossalmente crea strumenti di comunicazione sempre più elaborati. A noi che abitiamo in un mondo frenetico, dove tutto è esposto agli sguardi, dove tutto è in vetrina, ma allo stesso tempo tutto ci sfugge perché non sappiamo più guardare. Nuove tecnologie bombardano i nostri sensi, veniamo oppressi da miliardi di notizie al minuto, tutte sapientemente manipolate e stereotipate. Questa indigestione è la causa della nostra inappetenza verso la verità. A questo punto chi è Shengue? È la voce dell’umanità che urla in silenzio ai piedi di un marciapiede lurido, per renderci partecipi di una realtà non troppo distante dalla nostra; è l’uomo che vediamo a terra girando l’angolo di una strada o quando corriamo per prendere la metro che ci porta al lavoro. Shengue è in Africa come a Roma, Shengue è il senso, il respiro dell’amore, il soffio della speranza e il cuore di chi tenta di fuggire per salvare ciò che più ama. Il protagonista, però, non può arginare il mare della solitudine contando solo sulle proprie forze. Nei momenti di bisogno, e a volte inaspettatamente, arrivano gli aiuti: Steve, uomo di cultura pronto a spingerlo verso la conoscenza e la consapevolezza; suor Ludovica, attenta protettrice dell’innocenza, che lo ha cresciuto e continua ad aiutarlo, abbracciandolo nei momenti di sconforto e lottando con fermezza contro la sua dipendenza. In maniera indiretta l’aiuto viene anche da Adina, attraverso la quale siamo catapultati nel mondo tetro, infimo e angusto dell’AIDS. La donna è consapevole che il virus la porterà alla morte, ma continua ad amare la vita. Non conta quanto questa sia stata generosa con lei, quello che conta sono i momenti di felicità che le sono stati regalati. Ha vissuto una vita misera, disprezzabile, ma l’ha vissuta con coraggio e con ardore, facendo anche qualcosa di buono: cinque figli ben educati e rispettabili. Nonostante la sua condizione, ringrazia la vita per il solo fatto di aver vissuto. Incontriamo persone speciali, che l’autore ci presenta per farceli conoscere, apprezzare e imitare. Il romanzo contiene concetti interessanti e spunti intelligenti che non hanno come unico scopo quello di emozionare: a ben guardare il fine ultimo della storia è la riflessione. Un’opera catartica, dunque, quella di Accorsi, che con un linguaggio semplice e scorrevole arriva dritto al cuore e alla testa delle persone. Nessuno, dopo aver letto il romanzo, può tornare nella sua quotidianità senza rivolgere un pensiero a Shengue, senza notare i mendicanti ai piedi della strada, senza riflettere sulla loro condizione. Per far sì che il lavoro di Shengue non sia stato vano, dobbiamo far crescere nella nostra anima la consapevolezza che ognuno di noi può essere utile per il prossimo e che fino a quando ci saranno gesti di carità, anche piccoli, continuerà ad esserci nel mondo una grande speranza.

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